La capanna
Matteo PasquiniIeri sono sceso al torrente
lampio sentiero di ghiaia
croccava sotto i passi pensanti,
mentre appena scalfito restava allora,
al tempo delle corse al permesso
incerto di mia madre, che dai vetri
aguzzava glocchi finché non sparivo:
giù per il crinale, poi fra lerba,
in mezzo alle canne, fino al fiume.
Là erano già i miei compagni,
indaffarati tra i salici sul greto:
il mondo finiva e cominciava là,
fra loro del grano una lingua di verde:
il nostro impero.
E le corde, i teli, i paletti,
la capanna ci impegnava fino a sera,
e poi si correva a casa, in ritardo,
e la vedevo là, ai vetri, ancora,
quasi non si fosse mossa,
solo più lieta or che ritornavo.
Nellaria umida dottobre
ho rivisto i campi, allora così grandi,
ora meno maestosi e, forse,
ma non me ne avvedo,
solo un poco più vecchi.
Scendo ancora e riconosco il punto,
qualche legno torto e degli stracci:
"la capanna" la si chiamava,
la sola chesistesse, la più bella:
ricordo le candele, per sederci un baule,
poi un giornale, un santino, quel che saveva.
Così è stato.
E mi volgo e torno indietro, ma più lento
cammino ora sullerba alta e incolta,
tra il canneto folto, pieno di sterpi,
e poi per il crinale, che frana un poco
ad ogni mio passo, mai così pesante
E finalmente torno a riveder
casa mia, ma alla finestra il lume è spento,
e più nessuno, ormai, che ancor mattende.